Tra reale e digitale: nuove forme di narrazione nello spazio

Paolo Bertetti

Resumen


La svolta locative della comunicazione digitale ha reso sempre più attuale l’idea di “estraibilità”: se per Jenkins essa era relativa all’idea che i fan prendessero con se aspetti della storia per riportarli e riutilizzarli negli spazi della vita quotidiana (gli esempi andavano dai parchi giochi al merchandising), le nuove possibilità date dai locative media, dalle tecnologie di augmented reality ecc. spingono a una sempre maggior interazione tra worldbuilding digitale e esperienza del quotidiano se non a vera e propria sovrapposizione degli spazi reali e finzionali, in un’ottica che pone comunque al centro la performatività dei pubblici. Oggetto di questo articolo è il cosiddetto Location-based Storytelling, o Site-specific mobile storytelling: si tratta di esperienze narrative interattive costruite attraverso programmi e applicazioni che richiedono all’utente di muoversi fisicamente nello spazio allo scopo di rivelare dei frammenti narrativi attraverso dei device mobili. In questo contesto anche gli spazi, nella loro concretezza figurativa, diventano (o ridiventano) piattaforme per lo sviluppo di narrazioni, di storie che attraverso i media digitali vengono inscritte all’interno dei luoghi e con le quali il destinatario interagisce non solo mentalmente, ma anche fisicamente, in quanto corpo all’interno di uno spazio che è già narrativizzato, che è già è allestito come ambiente narrativo. L’articolo intende proporre una prima riflessione semiotica a riguardo, soffermandosi in particolare su tre questioni: innanzitutto, le opportunità e le costrizioni che simili progetti offrono in merito alla costruzione narrativa; in secondo luogo, il rapporto tra nuove pratiche permesse e anzi stimolate dalle installazioni “digitali” e dalle tecnologie locative e la questione più generale (e assai dibattuta) delle pratiche spaziali urbane; infine, la reale natura del rapporto tra mondo reale e mondo digitale: parlare di augmented reality impone infatti di precisare il suo rapporto con il mondo “reale”, non tanto in termini ontologici, quanto semiotici, in relazione dunque con la costruzione del senso.


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